domenica 13 settembre 2009

18. La Palestina e gli ebrei

Nel 1517 la Palestina viene annessa all’impero ottomano. Con l’intento di incrementare la popolazione, che conta appena 250 mila abitanti, Solimano (1520-66) invita i profughi ebrei a farvi ritorno, ma il trattamento che ricevono, almeno dopo la morte di Solimano, non è dei migliori. Gli ebrei continuano a vivere raminghi nel mondo, generalmente isolati nelle società che li ospitano e spesso maltrattati.
Talvolta qualcuno si lascia sopraffare da idee balzane, com’è il caso di Joseph Nasi, un ebreo di Costantinopoli, che nel 1579 tenta di ricostruire la città di Tiberiade, offrendo così un saggio di movimento sionista. Intorno alla metà del XVI sec., gli ebrei di Polonia ottengono un’autonomia amministrativa, che dura circa un secolo, ma poi vengono massacrati dai russi.
Verso la fine del XVI secolo, preoccupato da altri problemi, l’impero ottomano trascura la Palestina, che entra in un lungo periodo di declino. Il vuoto politico, che si protrarrà per oltre due secoli, viene colmato da potentati locali.
Nei secoli XVII-XVIII, quasi tutti gli ebrei d’Europa vivono nei ghetti e non godono della parità di diritti rispetto agli altri cittadini. Tra essi si diffondono movimenti messianici, come quello di Sabbatai Zevi, che suscita un grande entusiasmo presso molti ebrei d’Europa, che si preparano a ritornare in Palestina.
La piena uguaglianza politica è accordata per la prima volta agli ebrei dagli Stati Uniti dopo la Dichiarazione d’indipendenza del 1776 e, successivamente, dall’Assemblea Costituente francese del 1791 e da Napoleone, ma, con la Restaurazione, in Europa tutto torna come prima. Nel 1800 la Palestina conta 330 mila abitanti, di cui 25 mila cristiani e 5 mila ebrei.

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