sabato 12 settembre 2009

02.1. La Chiesa nel XVI secolo

Fino al XV secolo la chiesa, nel suo complesso, ha svolto un ruolo di primo piano nel mondo occidentale e ha dato la sua impronta alla civiltà medievale, ponendosi, nel bene e nel male, come il principale punto di riferimento per tutti, il metro di confronto per ogni uomo, grande o piccolo, religioso o laico, teologo o naturalista, un faro luminoso, una fonte di iniziative, un deposito di sapere e di arte. Quella chiesa è stata davvero una forza trainante e onnipresente: ha bandito le crociate, ha lottato contro le eresie e gli errori dell’umanità, ha mandato i buoni in paradiso e i malvagi all’inferno, ha intercesso per le anime del purgatorio, ha perdonato i peccati, ha elargito indulgenze, ha bruciato streghe, ha indicato la retta via, ha definito il bene e il male, ha distinto la verità dalla menzogna, ha incoronato e deposto re, e tante altre cose ancora. È stata proprio una sorgente luminosa, posta tanto in alto da essere ben visibile a tutti. Gli stessi scienziati erano, innanzitutto, teologi.
A partire dal XVI secolo, tuttavia, quella stessa chiesa va perdendo posizioni e scende dalla vetta. La sua visione radicalmente pessimistica della natura umana mal si concilia con la fiducia nei propri mezzi manifestata dall’umanesimo. Non potendo accettare il crescente protagonismo individuale, la chiesa deve scegliere fra due alternative: o opera un proprio ammodernamento, tentando di stare al passo coi tempi e riprendere il ruolo perduto, oppure si volge indietro, guardando al passato come all’età dell’oro e ad un ideale tramontato e da ripristinare. Sceglie questa seconda via e, anziché sforzarsi di comprendere i cambiamenti culturali dell’epoca, si oppone a tutte le innovazioni ed alle inclinazioni soggettivistiche dell’uomo moderno. Il nuovo corso conferisce alla chiesa l’immagine di una struttura logora e obsoleta, una potenza oscura e reazionaria, che tende a perpetuare il medioevo. Lo scontro fra le due culture trova un emblematico riscontro nella famosa vicenda, che vede di fronte Galileo, lo scienziato pisano che rappresenta l’uomo nuovo, che intende procedere con le proprie forze e crede nella scienza sperimentale, e la Chiesa, che è disposta a riporre la sua fiducia solo in Dio, giammai nell’uomo.
Uno dei motivi di crisi della chiesa è rappresentato proprio dal papato, il quale appare più preoccupato di questioni dinastiche e temporali che dei principî evangelici. Avidi di ricchezze, i papi concedono il perdono dei peccati in cambio di un’offerta in denaro, e fanno della chiesa una struttura così opulenta da attirare una miriade di vocazioni interessate: nella sola Firenze del XV secolo si contano circa 5000 preti e frati! I papi di questo periodo somigliano a veri e propri monarchi. Alessandro VI (1492-1503) è un personaggio dissoluto e privo di scrupoli, tutto dedito a coltivare i propri interessi materiali e ad assicurare una posizione di dominio ai suoi numerosi figli, che ha avuto da donne diverse. Giulio II (1503-13) è un uomo dalla forte personalità e dalle attitudini militari, felice padre di tre figlie. Si impegna ad abbellire la città, circondandosi di artisti di prim’ordine, come Bramante, Raffaello e Michelangelo. Leone X (1513-21) è un papa edonista per eccellenza: con lui, lussuria e corruzione giungono a livelli d’eccezione. Dopo l’incoronazione, qualcuno lo sente esclamare “godiamoci il papato perché Dio ce l’ha dato”. La sua speculazione sulle indulgenze è tale da suscitare la sdegnata reazione di Lutero, che rende pubbliche le sue “95 tesi” (1517). La bolla papale di condanna, Exurge Domini, che giunge in ritardo (1520), è bruciata da Lutero sulla piazza di Wittenberg, e questo gesto gli costa la scomunica.
Ma Lutero non si ferma e, insieme ad altre personalità, come Giovanni Calvino, dà vita ad una grande Riforma del cristianesimo, che strizza l’occhio tanto all’individualismo umanistico quanto ai nuovi valori espressi in campo economico dalla borghesia. La risposta dei papi si lascia attendere alcuni anni e, quando arriva, assume una forma particolarmente autoritaria e persecutoria nei confronti dell’autonoma ricerca intellettuale e della libera espressione artistica dell’individuo. A parte questo, i papi continuano a fare la loro vita di sempre, e rimangono assorbiti nelle questioni politiche e nei giochi di potere. Giulio dÈ Medici, per esempio, divenuto papa col nome di Clemente VII (1523-34), si serve dell’aiuto dell’imperatore Carlo V per restaurare a Firenze la sua famiglia (1530), che era stata cacciata tre anni prima, quando i fiorentini avevano proclamato la repubblica.
Padre di numerosi figli, solo tre dei quali legittimati, Paolo III (1534-49) è un altro tipico “papa-re” rinascimentale, che si distingue per una condotta frivola e nepotista. Merita di essere ricordato per avere approvato l’ordine dei Gesuiti, per avere istituito la Santa Romana Inquisizione (1542), il futuro Sant’Uffizio, e per avere convocato il concilio di Trento (1545), allo scopo di eliminare lo scisma protestante e di riunire la cristianità in una crociata comune contro i turchi. Dopo tre anni il concilio viene sospeso. Lo riapre, ma solo per un anno, Giulio III (1550-5), un papa che, per il suo edonismo e l’attaccamento ai piaceri mondani, ricorda Leone X. Il suo successore, Marcello II (1555) è, finalmente, un papa semplice e morigerato, un vero cristiano. Bandisce ogni nepotismo e ogni frivolezza dalla sua corte; abbandona il lusso e fa sparire il vasellame d’oro e d’argento dalla sua tavola, mentre devolve il denaro a beneficio dei poveri. Ma la sua è solo una fugace parentesi. Paolo IV (1555-9) restaura la pompa e lo sfarzo degli anni precedenti e riporta a tavola oro e argento. Il suo impegno politico è teso a liberare l’Italia dal dominio spagnolo.
È Pio IV (1559-65) che riapre, per la seconda volta, il concilio e lo porta a termine, con un bilancio generale positivo. Il concilio ha affrontato importanti questioni dottrinali e realizzato decisive riforme organizzative e istituzionali, anche se non è riuscito a ricomporre l’unità dei cristiani, che adesso vivono in due mondi ben distinti e separati sotto il profilo dogmatico e dottrinale. Rimane confermato il primato del papa sull’assemblea conciliare.
Pio V (1566-72) è, per certi versi, un papa nuovo. Uomo semplice e dalla fede profonda, convinto che la chiesa non abbia bisogno di cannoni, ma solo di preghiera, digiuno e carità, abbandona la politica di potenza e nepotista dei predecessori e riporta l’austerità alla corte pontificia. Sotto altri aspetti, invece, è un papa conservatore e retrogrado, pervaso da un sacro furore di stampo fondamentalista, che s’impegna in una strenua e feroce lotta agli eretici finalizzata alla loro eliminazione fisica: “perseguitate a oltranza, uccidete ardete, tutto vada a fuoco e sangue purché sia vendicato il Signore” (RENDINA 1996: 534). Promuove la lotta senza quartiere contro gli infedeli turchi, che è coronata dal successo di Lepanto (1571) e ordina la strage degli ugonotti (notte di S. Bartolomeo, 23-24 agosto 1572).
Gregorio XIII (1572-85) si muove sulla stessa linea del predecessore, anche se con meno rigore, e va certamente ricordato per la riforma del calendario, che verrà poi adottato dal mondo intero.
Sisto V (1585-90) promuove lo sviluppo urbanistico di Roma e s’impegna in una rigorosa riorganizzazione della Curia e del collegio cardinalizio, anche se poi non osserva le regole che lui stesso ha imposto, come dimostra, per esempio, l’elevazione al cardinalato il nipote quindicenne Alessandro.
Clemente VIII (1592-1605) è un papa dalla duplice personalità: da una parte si raccoglie in preghiera e digiuna, dall’altra si abbandona al lusso e ai piaceri, e non disdegna di praticare il nepotismo. Vorrebbe instaurare un’Inquisizione anche in Francia, ma non vi riesce. Sotto il suo pontificato si consuma la condanna di Giordano Bruno.

Nessun commento:

Posta un commento